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  1. I PAPAR

La più antica menzione della colonizzazione d’Islanda si trova nella Íslendingabók, scritta da Ari Þorgilsson fróði (“il saggio”) tra il 1122 e il 1133. L’autore scrive che “qui vi erano dei cristiani, chiamati papar dai norvegesi, ma essi se ne andarono perché non vollero dividere la terra con dei pagani. Lasciarono dietro di sé libri irlandesi, bastoni pastorali e campane, dai quali è possibile stabilire che fossero irlandesi”.

 

  1. HRAFNA-FLÓKI

Intorno all’anno 870, Flóki Vilgerðarson fu il primo norvegese a considerare di stabilirsi in Islanda. Durante la traversata in nave portò con sé tre corvi affinché lo aiutassero a trovare la via. Ricevette così il soprannome di Hrafna-Flóki (hrafn significa “corvo” in islandese) e fu lui per primo a chiamare la terra “Islanda” (“Terra dei Ghiacci”).

 

  1. INGÓLFUR E HALLVEIG

Ingólfur Arnarson fu il primo norvegese a stabilirsi in maniera permanente in Islanda. Egli arrivò nel paese con la moglie, Hallveig Fróðadóttir, nell’anno 874. Una volta avvistata la costa, egli decise di lasciar decidere agli dèi il luogo del suo insediamento gettando in mare i pilastri di legno del suo scranno. Questi furono ritrovati presso la costa di Reykjavík, dove Ingólfur si stabilì intorno all’anno 877. 

 

  1. SKALLA-GRÍMUR E EGILL

INSEGNA 1

Uno dei più celebri fabbri del periodo della colonizzazione fu Skalla-Grímur Kveldúlfsson. Egli si costruì una fucina sulla costa dove fondeva il ferro con grande entusiasmo attraverso un processo chiamato in islandese rauðablástur. Le paludi islandesi erano ricche di ferro di cui approvvigionarsi; tuttavia, Skalla-Grímur dovette tuffarsi fino al fondale dell’oceano per trovare una roccia sufficientemente resistente su cui battere il ferro una volta fuso. Ci vollero molti uomini per sollevare questa roccia e portarla a riva, e da questo si può intuire quanto incredibilmente forte doveva essere Skalla-Grímur per riuscire a sollevarla da solo. 

INSEGNA 2: SKALLA-GRÍMUR E EGILL

Dal periodo della colonizzazione fino al XV secolo gli islandesi produssero ferro da depositi che trovarono nei terreni paludosi del paese tramite un processo di fusione noto in islandese come rauðablástur. Questa tecnica fu portata nel paese dai primi coloni ed era conosciuta nel Nord Europa sin dagli inizi dell’Età del Ferro. Tale metodo prevedeva la fusione del ferro estratto dalle paludi in fornaci piene di carbone. Ad elevate temperature i materiali ferrosi si separano dalle impurità e si accumulano in piccole pepite, dette blástursjárn in islandese. Successivamente, questo ferro impuro veniva scaldato e battuto in modo da raffinarlo ulteriormente.

PROCEDIMENTO:

  1. Il ferro veniva estratto dalle paludi e frantumato finemente.
  2. Della legna veniva bruciata in una fornace fino a diventare carbone ardente.
  3. Il carbone veniva quindi appiattito lungo la base della fornace e il ferro frantumato veniva cosparso sopra di esso.
  4. Una volta che il ferro diventava incandescente, attraverso un buco alla base della fornace veniva soffiata dell’aria con un mantice.
  5. Nel processo di combustione, il carbone sprofondava soprattutto intorno al centro della fornace, dove la temperatura era più elevata.
  6. Il ferro rovente veniva poi raccolto nel centro della fornace e l’aria veniva soffiata attraverso il foro sul fondo fino a che il materiale non si fosse unito in una pepita.
  7. Infine, il ferro veniva rimosso dalla fornace e battuto.

INSEGNA 3: SKALLA-GRÍMUR E EGILL

Uno dei due figli di Skalla-Grímur si chiamava Egill, grande guerriero vichingo e il più famoso poeta delle saghe. Durante i suoi viaggi, Egill soggiornò anche alla corte del re Athelstan d’Inghilterra, il quale gli fece dono di una grande quantità di argento. Egill pensò inizialmente di recarsi alla “Roccia della Legge” a Þingvellir e da lì lanciare l’argento sulla zona più affollata dell’assemblea, così da scatenare uno scontro tra la gente riunita. Egli fu infine dissuaso dal compiere quel gesto e decise piuttosto di far sotterrare l’argento. Il tesoro di Egill non è mai stato trovato ma si dice si trovi da qualche parte alle pendici del monte Mosfell. 

 

  1. I CELTI IN ISLANDA

Oggi si ritiene che oltre la metà delle donne in Islanda durante il periodo della colonizzazione fosse di origine celta. Tra di loro vi era la celebre Melkorka Mýrkjartansdóttir, figlia di un re irlandese. Melkorka fu portata in Islanda come schiava da Höskuldur Dala-Kollsson che l’acquistò come concubina. Melkorka diede a Höskuldur un figlio, Ólafur, soprannominato il “pavone”, che successivamente sposò Þorgerður, la figlia di Egill Skalla-Grímsson, e diventò una persona di grande rispetto. 

Donne Uomini

COLONI NORRENI COLONI CELTI

 

  1. VÍNLAND

Leifur heppni (“il fortunato”) era figlio di Eiríkur rauði (“il rosso”), l’uomo che scoprì la Groenlandia. Leifur fu il primo norreno a condurre una spedizione verso il Nord America per esplorare quelle terre intorno all’anno 1000. Tra i suoi uomini vi era Tyrkir, originario delle terre del sud. Un giorno questi si separò dal gruppo per poi riapparire, al settimo cielo, portando con sé un’abbondante scorta d’uva. Da allora quella terra venne detta Vínland (vín significa infatti “vite”, “vino” in islandese). 

 

  1. FREYDÍS

Durante la spedizione nel Vínland condotta da Þorfinnur Karlsefni e Guðríður Þorbjarnardóttir a cavallo tra il X e l’XI secolo, Freydís Eiríksdóttir, sorella di Leifur “il fortunato”, fece resistenza contro la popolazione indigena dopo la fuga dei suoi compagni. Messa alle strette, prese la spada del defunto Þorbrandur Snorrason che giaceva lì accanto, si spogliò e si portò la spada al petto nudo. Con questo coraggioso gesto Freydís mise in fuga gli indigeni.

 

  1. L’ALÞINGI

Gli islandesi svilupparono una forma di governo piuttosto differente rispetto all’Europa continentale. Ciò non sorprende visto che i primi coloni arrivarono nel paese per sfuggire all’oppressione delle autorità. Il sistema che emerse in Islanda non aveva un organo centrale o esecutivo, e l’unico membro dell’Alþingi (l’assemblea generale) a ricevere un compenso era il lögsögumaður, “l’oratore della legge”. La sua responsabilità era quella di memorizzare e applicare le leggi del Paese, ma anche di presiedere l’assemblea. Con la conversione alla religione Cristiana arrivò in Islanda la scrittura e le leggi vennero così messe per iscritto. Per la compilazione del primo codice di leggi, conosciuto con il nome di Grágás (le “Leggi dell’oca grigia”), gli oratori della legge di quel tempo si dovettero avvalere dell’aiuto di eruditi, così come per recitarlo correttamente davanti all’assemblea riunita.

 

  1. ÞORBJÖRG 

Nella Eiríks saga rauða (la “Saga di Erik il Rosso”) viene narrato un episodio accaduto in Groenlandia intorno all’anno 1000 in cui la veggente Þorbjörg lítilvölva fu invitata a predire il futuro di una comunità. Le völvur (völur in antico islandese) erano le veggenti al tempo dei norreni e avevano il potere della divinazione. Per via della loro saggezza queste donne godevano di grande rispetto da parte delle comunità e le loro prestazioni erano molto richieste. Durante la recita delle premonizioni, la völva veniva circondata dal resto delle donne che l’assistiva intonando canti.

 

  1. ÞORGEIR

Prima della conversione ufficiale dell’Islanda al Cristianesimo nell’anno 1000, i capi cristiani avevano affidato a Þorgeir Ljósvetningagoði, capo della fazione pagana, il compito di risolvere la questione. Þorgeir si ritirò nella sua tenda, si coprì il volto e il capo con delle pelli e lì giacque per tutto un giorno e una notte. Quando riemerse, annunciò che tutti avrebbero nominalmente accolto la nuova fede ma chiunque desiderasse poteva continuare a venerare gli antichi dèi in privato. 

 

  1. GUÐMUNDUR GÓÐI – GUÐMUNDUR “IL BUONO” 

Con il passare del periodo del þjóðveldi (Stato libero d’Islanda), il potere andò a concentrarsi nelle mani di un sempre più ristretto numero di individui. Questi cambiamenti sociali possono essere attribuiti all’arrivo del Cristianesimo e all’approvazione della legge sulla decima, e si venne così a creare una nuova classe di capitani-sacerdoti (kirkjugoðar in islandese). Un vescovo islandese chiamato Guðmundur góði tentò di opporsi alla crescente ricchezza e potere di questa classe sociale. Egli preferì condividere i beni terreni con i suoi confratelli e i più bisognosi. Il popolo lo considerava un santo e passò gran parte della sua vita viaggiando per il paese accompagnato dai suoi seguaci. 

 

Durante lo Stato libero d’Islanda, i crimini più gravi venivano puniti con esili e condanne a morte di vario tipo. Se la condanna era circoscritta a una determinata zona del paese, il colpevole poteva essere perseguito ed ucciso da chiunque, ma soltanto in quella determinata area. Lo stesso valeva per il cosiddetto skóggangur, dove la condanna era però estesa all’intero paese. Una terza tipologia, chiamata fjörbaugsgarður, prevedeva che il condannato lasciasse il paese per tre anni, o che venisse altrimenti giustiziato. 

Il più famoso fuorilegge islandese fu Grettir sterki (“il forte”), la cui storia si svolse tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo. Grettir fu dichiarato fuorilegge per la prima volta all’età di soli 14 anni e fu costretto ad allontanarsi dalla società per tre anni. Durante questo periodo Grettir diventò un uomo abile e forte e imparò a badare a sé stesso; tuttavia, egli aveva un carattere particolarmente scontroso. 

Non passò molto tempo che egli venne esiliato nuovamente, questa volta a vita. Grettir fu perseguitato dai familiari delle persone che ha ucciso o offeso, ma riuscì a non farsi catturare per quasi 20 anni. 

Tuttavia, i suoi nemici erano implacabili. Con l’aiuto della magia riuscirono infine a fare in modo che Grettir si ferisse gravemente a una gamba e che non potesse più scappare. Grettir cercò di fuggire sull’isola di Drangey con il fratello Illugi, ma vennero infine raggiunti dai nemici. Grettir si difese coraggiosamente ma fu infine ucciso. Ad Illugi venne offerta una tregua a patto che egli promettesse di non vendicare a sua volta il fratello. Illugi declinò l’offerta perdendo così la vita. 

 

  1. SNORRI

Snorri Sturluson non era solo un affermato scrittore ma anche un uomo con un gran talento per le finanze e la politica. Egli ha lasciato ai posteri un gran numero di opere, tra le quali si ricordano le celebri Heimskringla e l’Edda in prosa. A Snorri viene attribuita anche la Egils saga Skalla-Grímssonar (la “Saga di Egill Skalla-Grímsson”), cosa non del tutto improbabile visto che egli iniziò la sua carriera come capo distrettuale proprio nei luoghi dove visse Skalla-Grímur, a Borg á Mýrar. Nel 1230 circa, il nipote di Snorri, Sturla Sighvatsson, viveva con lo zio a Reykholt e mostrò grande interesse per le sue opere. Cinque anni dopo, fu proprio Sturla che costrinse Snorri a lasciare il paese, prendendo così il suo posto come potente leader.

 

  1. LA PESTE, LA “MORTE NERA”

Nel 1402, Einar Herjólfsson arrivò in Islanda in nave dall’Inghilterra e in seguito al suo arrivo “scoppiò una così letale epidemia che poteva uccidere un uomo in tre giorni”. Quell’autunno la peste si diffuse attraverso il sud dell’Islanda e decimò intere comunità. Per i due anni successivi la peste continuò a diffondersi per tutto il paese e si crede abbia ucciso quasi un terzo della popolazione islandese. È ironico pensare che, nonostante si ritenga che fu proprio la nave di Einar Herjólsson ad aver portato la peste in Islanda, egli sopravvisse all’epidemia.

 

  1. LA BATTAGLIA DI ÖRLYGSSTAÐIR

La battaglia di Örlygsstaðir del 21 agosto 1238 fu una delle più sanguinose battaglie combattute durante l’era degli Sturlungar. Sighvatur Sturluson e quattro dei suoi figli furono uccisi da Gissur Þorvaldsson e Kolbeinn “il giovane” in una lotta per l’influenza e il controllo del paese. Si concluse così l’egemonia degli Sturlungar, fino a quando Þórður kakali, un altro figlio di Sighvatur, riconquistò il potere della famiglia nella battaglia passata alla storia come Flóabardagi, la “Battaglia del Golfo”.

 

  1. KATRÍN

Nel 1343 suor Katrín, monaca presso il convento di Kirkjubæjarklaustur, fu accusata di aver venduto la propria anima al diavolo e fu quindi bruciata al rogo per ordine di Jón Sigurðsson, da poco ordinato vescovo di Skálholt. Jón era considerato un uomo difficile da trattare e per questo non godeva di grande stima tra il popolo. Come esempio della campagna del vescovo Jón contro la corruzione, dopo il rogo, egli si recò al convento Þykkvabæjarklaustur dove fece incatenare i monaci e li mise alla gogna per aver cacciato l’abate dal monastero l’anno precedente. 

 

  1. LA RIFORMA PROTESTANTE

Il 7 novembre 1550 l’ultimo vescovo cattolico d’Islanda, Jón Arason, fu decapitato insieme ai suoi due figli, il giurista Ari e il prete Björn. Non solo Jón fu una personalità religiosa, ma era anche considerato un brillante uomo d’affari. Durante il suo mandato egli riuscì ad aumentare la propria ricchezza e quella della sede vescovile di Hólar tramite acquisizioni terriere e altre procedure legali. Jón Arason fu anche poeta di grande rilievo e fondò la prima tipografia del paese intorno al 1530. 

 

Una forma ufficiale di diritto penale fu introdotta in Islanda dopo la sua annessione al Regno di Norvegia nella seconda metà del XIII secolo. Da allora i trasgressori della legge venivano condannati dagli ufficiali regi secondo il codice di leggi Jónsbók. Secondo questo codice, la pena capitale veniva applicata a crimini come omicidio, furto, stupro e alto tradimento. Con la Riforma Protestante nel XVI secolo il re aggiunse la blasfemia ai crimini perseguibili con la pena capitale e aumentarono così le condanne a morte e le esecuzioni. Anche casi di gravidanze tenute nascoste e l’infanticidio diventarono passibili di morte. 

Tra il 1550 e il 1830, 248 islandesi furono condannati alla pena capitale. Il numero delle esecuzioni di ladri aumentò durante la seconda metà del XVII secolo; la pena prevista era l’impiccagione. Della totalità delle sentenze capitali registrate, 76 di queste, ovvero il 30%, riguardano vagabondi incriminati per furto. Si crede che questo fu dovuto alle lamentele da parte delle classi più abbienti della società riguardo l’aumento dei senzatetto, situazione particolarmente accentuata in seguito agli inverni più rigidi. Si dice che il fiore Þjófarót (“radice dei ladri”), conosciuto anche come Holtasóley, cresca dove veniva impiccato un ladro.

 

Durante la prima metà del XVII secolo Jón Ólafsson Indíafari (“il viaggiatore dell’India”) lavorò per un periodo per l’esercito danese; tra gli incarichi fu assegnato al posto di guardia. Un giorno si presentò in ritardo al lavoro e per di più si pensava fosse ubriaco. Per questo motivo fu incarcerato per un mese nelle segrete della prigione reale, la Torre Blu. All’inizio del XVIII secolo l’incarcerazione divenne una condanna sempre più comune.

Questo causò un problema per le autorità islandesi dal momento che non c’erano prigioni nel paese e i condannati al carcere venivano perciò mandati a scontare la loro pena a Copenaghen. Tra il 1730 e il 1836, 165 islandesi furono incarcerati a Copenaghen: 148 uomini e 17 donne. Per lungo tempo i condannati islandesi venivano incarcerati a Brimarhólmur, il principale cantiere navale per l’esercito danese, dove i detenuti venivano costretti a lavorare. Nel 1742 a Brimarhólmur si smise di accogliere detenuti, i quali venivano invece mandati alla Stokhuset (Stokkhúsið in islandese), ossia un grande istituto nei pressi del quartiere di Kristianshavn a Copenaghen.

Questa fondazione era divisa in quattro sezioni: la “Casa dei Bambini”, un centro di istruzione per bambini orfani; la “Prigione”, dove erano detenuti i condannati uomini; la “Filanda” dove stavano le donne; infine, la cosiddetta “Raspa” dove finivano i condannati più pericolosi. I detenuti venivano principalmente impiegati al confezionamento di uniformi per l’esercito danese. I prigionieri erano considerati degli schiavi ed erano incatenati per tutta la loro permanenza. Alla Stokhuset venivano impiegate diverse modalità di tortura se i prigionieri non si comportavano bene, ma questo avveniva anche senza un particolare motivo, come semplice monito all’obbedienza. Tra il 1730 e il 1836, 165 islandesi furono incarcerati alla Stokhuset, di cui 100 morirono in prigione, 26 vennero scarcerati e 19 furono rilocati ai lavori forzati. Il destino degli altri prigionieri è tutt’ora ignoto.